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Credere nei segni, credere negli strumenti e nelle stelle

Andrea Fiorini on Febbraio 26, 2015 - 11:21 pm in Critica letteraria

Dalla rubrica di poesia “Hanrahan il Rosso” pubblicata sul sito di Varini Publishing (cortesia dell’editore)

“Noi vogliamo luce, aria, ventilatori, aeroplani, richieste dei lavoratori, idealismo, motori, ciminiere di fabbriche, sangue, velocità, sogno nella nostra Arte”. No, non è il manifesto del Futurismo, ma qualcosa che gli si avvicina molto.
Sono le parole scritte all’inizio degli anni Venti da Menotti Del Picchia, poeta brasiliano che, insieme a pochi altri giovani rivoluzionari (in senso letterario), portò scompiglio nel sonnecchioso e periferico mondo accademico del suo Paese organizzando e partecipando attivamente alla famosa “Semana de Arte Moderna” (Settimana dell’Arte Moderna) di San Paolo. In un caldo febbraio del 1922 (nell’emisfero australe le stagioni sono invertite) tre seminari dedicati rispettivamente a pittura e scultura, letteratura e poesia, e filosofia tracciarono una nuova via destinata in brevissimo tempo a sovvertire l’intero quadro poetico-letterario del grande Paese, in cui ancora oggi si concentra la metà della produzione libraria del Sud America. In forte ritardo rispetto al modernismo sudamericano di lingua spagnola nato negli ultimi anni dell’Ottocento, alla Semana presero parte, oltre a del Pichia, Graça Aranha (vera anima dell’evento), Mário e Oswald de Andrade, Víctor Brecheret, Anita Malfatti e Guilherme de Almeida, per non citare che i poeti. Fu un momento di liberazione dagli schemi, di recupero della libertà creativa, di anelito internazionale, della cui portata tutti gli artisti erano consapevoli ben prima di parteciparvi. Scrive Mário de Andrade: “Saremo bellissimi! Insultatissimi. Famosissimi. Avremo i nostri nomi immortalati sui giornali e nella storia dell’arte brasiliana”. Dalle sue radici la Semana vedrà spuntare, tra gli altri, il cosiddetto “Movimento degli Antropofagi”, emerso dalla mente creativa di Oswald de Andrade e dal suo “Manifesto Atropofago”, in cui rivendicava la necessità di divorare tutto quanto la realtà presenta per interiorizzarlo e trasformarlo in qualcosa di nuovo, senza schemi precostituiti. “Eliminiamo le idee e le altre paralisi. Attraverso le mappe. Credere nei segni, credere negli strumenti e nelle stelle”, scrive Oswald. E il Manifesto reca la data del “Anno 374 dalla deglutizione del Vescovo Sardinha”, episodio reale della storia brasiliana avvenuto nel 1554 nel quale indios Caeté mangiarono l’alto prelato.
Un episodio fondamentale, quello della Semana, che ha un’origine e uno sviluppo strettamente legati alla storia. Nel 1922, infatti, il mondo era uscito da pochi anni dalla Prima Guerra Mondiale e lo scontro (che in Sud America è spesso definito “la Guerra Civile Europea”) interruppe o comunque indebolì fortemente i legami culturali con il Portogallo. Ciò accese i sentimenti nazionalisti – si parla dei modernisti come anti-europei – e spinse gli intellettuali a prendere coscienza dell’originalità della loro cultura, della loro lingua (parzialmente diversa ormai da quella della madrepatria portoghese), delle loro storia. Nasce dunque qui, si potrebbe dire, la letteratura brasiliana moderna, poco nota in Europa ma che nel continente latino-americano avrà un impatto determinante. Effetti del nuovo corso letterario-poetico-filosofico furono la riscoperta della lingua parlata al di là dell’Atlantico a partire proprio da Mário de Andrade, che la descrisse come “fabulosissima lingua brasileira”, e da Menotti Del Picchia, che la esaltò come “ágil, acrobática, sonora, rica e fidalga”. Ma il nazionalismo portò con sé anche frutti ben più succosi, visti in ottica contemporanea: esaltando la propria storia i brasiliani “moderni” riscoprono e rivalutano le popolazioni indigene, ricca fonte di diversità rispetto all’Europa e di culture artistiche tutte da esplorare. Prende le mosse da qui, da questi anni, un movimento di protezione e salvaguardia degli indios (il cosiddetto “nativismo”) che, ben lungi da aver posto fine alle sofferenze degli amerindi, ha comunque svolto un importante compito di protezione.

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