FRAMMENTI
Dalla rubrica di poesia “Hanrahan il Rosso” pubblicata sul sito di Varini Publishing (cortesia dell’editore)
Frammenti e contrasto. Frammenti e contrasto sono la forza delle parole, della poesia, sono la forza dell’espressione e dell’arte, che salta su pezzi di vita come sulle pietre di un guado e prende slancio, si solleva nell’immaginario e nell’emozione, e poi a terra ritorna, nel sanguigno quotidiano.
Frammenti che sono immagini sparpagliate a cui soltanto il poeta, l’artista, può dare – o non dare – un senso; ogni frammento è stato un lampo sottile che ne ha colpito i sensi, un improvviso e duro insight dell’esistenza di altro fuori da sé, tanto aguzzo, metallico e sottile da fermare per un attimo il respiro, da far dilatare le pupille nere e corrugare la fronte. E in una sequenza ininterrotta, i frammenti si dispiegano sul foglio come in attesa di essere rimessi a posto, a comporre un mosaico, quel mosaico che renda intellegibile l’emozione in essi contenuta. Inutile. Inutile perché il mosaico non può essere ricomposto. Tanto aveva percepito Pound, tanto aveva teorizzato, ergendosi al di sopra dell’intera cultura umana, raccogliendola in un pugno di coriandoli per poi gettarli sulla carta. Tentativo non riuscito, dice il critico. Forse. Tuttavia non è il risultato quello a cui aspira l’artista che crea, l’atleta che spinge al massimo, il soldato che attraversa il campo di battaglia, ma è il momento stesso, l’atto. A noi, oltre che il risultato, invece, interessa il metodo e il significato del metodo utilizzato.
Frammenti perché non c’è altro mezzo per comunicare?
Frammenti perché è l’unico modo per ricordare?
Se nella stanza le donne vanno e vengono parlando di Michelangelo e le sirene vengono udite cantare l’una all’altra non sono forse due piccole, brevissime emozioni che scorgiamo e che rievocano, in ognuno in modo differente, una improvvisa luminosissima visione?
Ma alla lunga la girandola di flash abbaglia e sovrappone costantemente un’emozione all’altra, spingendo a dimenticare i frammenti e a tentare di raccoglierli in un’unica omogenea sensazione.
A questo serve il contrasto. A spaccare l’omogeneità, a rompere il tentativo di fare propri i versi, di trasformarli come plastilina sotto le dita della propria sensibilità.
Certo, nella poesia cerchiamo noi e non altro. Eppure non è nostra, e questa alterità va rispettata, coltivata, mantenuta viva e rigogliosa. Il contrasto, l’improvviso cambio di senso, di tono, di sintassi, di colore e di timbro alzano (perché di contrasto in crescendo si tratta quasi sempre) il livello d’attenzione e spostano le proprie sensazioni verso quelle dell’artista, come un segnale sonoro inaspettato che interrompe l’insight, il c’ero quasi, l’ecco che.
Sfugge l’emozione, e si rinnova in altra forma, spostando ancora un po’ più avanti l’obiettivo, come il finto coniglio alle corse dei cani. Avanti, più avanti, ecco, lì, lì sembra esserci il significato, l’emozione che chiude il cerchio, che interrompe il flusso.
Ma è sempre un po’ più in là. E come in un romanzo di Murukami, il lieto fine non c’è, non c’è spiegazione, non c’è interpretazione.
Siamo soli. Lasciati solo con le nostre emozioni. Il possente concerto è finito d’improvviso e il ronzio del silenzio ancora sembra far vibrare i nostri timpani.
Lo slancio verso l’immaginario sembra – sembra – finito, il ritorno al sanguigno quotidiano è improvviso e benefico. Volevamo volare via ma, infine, siamo contenti di essere tornati a casa.